Luca Gnizio, eco-social designer. Chi era costui? Verrebbe da chiedersi con un appellativo del genere. Vale la pena di andare a fondo di una definizione insolita per capire il ruolo di questo giovane progettista nel panorama del design contemporaneo.
La sua è una scelta chiave perché cambia la rotta di una figura che per tradizione in Italia è ancora molto legata all’architettura e all’arredo. L’eco-social design amplia questi confini, seguendo da un lato l’idea che il design abbia oltrepassato la definizione di progettazione di prodotti per passare alla progettazione di sistemi, e dall’altro legando il proprio metodo e ruolo a quello del marketing. Sembrerebbe questo un salto nella direzione dell’astrazione e della filosofia del progetto, invece Luca Gnizio, che questa definizione ha coniato, è uomo di grande concretezza.
La sua formazione comincia infatti dai prototipi (come il Politecnico di Milano insegnava) per alcuni prodotti commercializzati dalla Kartell, tra cui la famosissima Louis Ghost di Philippe Starck. Un’esperienza sviluppata dal basso, dal fare manuale in ambiente industriale, che lascia a Gnizio l’aspirazione di operare invece in modo diretto, di vedere realizzate velocemente le idee personali. Egli cambia il suo punto di vista e da anello progettuale di una catena aziendale diventa ideatore ed esecutore diretto dei propri progetti mediante l’autoproduzione. Accostarsi ai materiali di recupero risulta naturale.
E poi l’intuizione che gli è valsa la credibilità delle aziende, cioè coinvolgere attori diversi con una finalità ecologica e sociale, facendo in modo che l’oggetto così creato diventi il portabandiera di un pensiero socialmente utile, testimonial in se stesso di un messaggio comunitario. Emblematico è stato l’aver coinvolto più di 50 aziende che lavorano il marmo in un’operazione di riciclo della marmettola, la polvere di marmo che si produce durante la trasformazione del materiale, e nel suo riuso per la fabbricazione di ciotole e vasi.
In quel caso poi egli affianca alla finalità ecologica quella sociale, realizzando l’iniziativa con l’aiuto di associazioni di persone diversamente abili.
La forza dell’idea di Luca Gnizio sta poi nel fatto che non chiede all’industria di trasformare i propri scarti per ottenere un prodotto da lui disegnato, ma disegna il prodotto, sedia, lampada, vaso o altro, partendo proprio dallo scarto, che innesta nel suo percorso così com’è. Ecco perché Luca ama tanto il tondino di ferro: perché è la rappresentazione di un’archetipica struttura che di volta in volta egli adatta innestandole i jeans della Levi’s, oppure nastri di asfalto per la Piaggio, oppure rete da cantiere e bottiglie di PET per H2O associazione no profit, o anche scampoli di tessuto organico certificato, e così via.
Nobilitando gli scarti, Gnizio è riuscito a stimolare l’attenzione del pubblico, oggi più che mai sensibile a questa tematica e di conseguenza l’interesse di piccole e grandi realtà industriali, tra cui BMW, che vedono la traduzione diretta dei loro obiettivi di marketing in prodotti altamente simbolici, che nobilitano il materiale senza costi di trasformazione.
Critica Arch. Paolo Schianchi